Al padiglione “No farmers non party” apre mostra dei cibi storici antenati del Made in Italy
1 piatto su 4 da antichi romani, dal Libum al Garum
1 piatto su 4 da antichi romani, dal Libum al Garum
Almeno un piatto Made in Italy su quattro deriva totalmente o in parte da ricette degli antichi romani a testimoniare il forte legame che unisce la gastronomia nazionale alla storia millenaria del Paese.
La stima è della Coldiretti che nel Padiglione “No farmers no partners”, ingresso sud, inizio del Cardo sul lato opposto all’albero della vita, ha inaugurato la mostra dei “Cibi più amati dagli antichi romani” nell’ambito delle gallerie dei “prodotti alimentari perfetti” nella loro specificità, che a rotazione sono protagonisti nel padiglione per far conoscere la grande diversità del vero Made in Italy alimentare che è stato salvato dall’omologazione grazie all’impegno degli agricoltori italiani.
Dal Garum, oggi noto come colatura di alici, che Apicio annovera in quasi tutte le sue ricette nel famoso libro “De re coquinaria” ai Basynias citati da Ateneo nella suo storica opera “Deipnosophistai che sono pezzi di pasta di farina di grano fritti nel miele ai quali si aggiungevano i “coccora” (granelli, forse chicchi di melograno), un fico secco e tre noci che gli antichi romani amavano molto e sono riconosciuti come gli antenati degli “struffoli” napoletani ma da Ateneo, attraverso il “Deipnosophistai”, si viene a sapere che anche i Muscari, oggi conosciuti come lampascioni, erano sempre presenti tra gli antipasti della gustatio, anche se non sempre graditi agli ospiti per il loro gusto amarognolo e per le spese da affrontare per renderli più amabili.
Dal Garum, oggi noto come colatura di alici, che Apicio annovera in quasi tutte le sue ricette nel famoso libro “De re coquinaria” ai Basynias citati da Ateneo nella suo storica opera “Deipnosophistai che sono pezzi di pasta di farina di grano fritti nel miele ai quali si aggiungevano i “coccora” (granelli, forse chicchi di melograno), un fico secco e tre noci che gli antichi romani amavano molto e sono riconosciuti come gli antenati degli “struffoli” napoletani ma da Ateneo, attraverso il “Deipnosophistai”, si viene a sapere che anche i Muscari, oggi conosciuti come lampascioni, erano sempre presenti tra gli antipasti della gustatio, anche se non sempre graditi agli ospiti per il loro gusto amarognolo e per le spese da affrontare per renderli più amabili.
Ma tra i preferiti dagli antichi romani ci sono anche il sidro di mele molto amato da Giulio Cesare, il pangiallo, meglio noto come pangiallo romano che ha origine nell'era imperiale, il panigaccio (testum) che oggi è molto diffuso nelle Lunigiana e che Catone, Apicio, Ateneo, Plinio e Columella raccontavano. E poi in mostra ci sono l’oliva tenera ascolana, i formaggi caciofiore di columella e conciato romano e il Liquore d’Ulivi era utilizzato dagli antichi Romani come curativo, ma anche il vino cesanese che la tradizione popolare fa risalire ai tempi della Roma Antica, quando i coloni romani, sedotti dall'ottimo clima, si dedicarono ad un'intensa opera di disboscamento per fare spazio a splendidi vigneti, (cesae: luoghi dagli alberi tagliati, da qui il nome del vitigno).
Il cibo, come testimoniato da Orazio e Petronio che rispettivamente nel “Satira VIII” del libro I e nel “Satyricon” descrivono minuziosamente ogni portata del convito di Nasidieno e della cena di Trimalcione era costantemente al centro della vita degli antichi romani aristocratici e rappresentava una preziosa occasione per esaltare le proprie ricchezze attraverso infinite portate e per pavoneggiarsi tra gli invitati sfoggiando le proprie conoscenze culinarie.
Il cibo, come testimoniato da Orazio e Petronio che rispettivamente nel “Satira VIII” del libro I e nel “Satyricon” descrivono minuziosamente ogni portata del convito di Nasidieno e della cena di Trimalcione era costantemente al centro della vita degli antichi romani aristocratici e rappresentava una preziosa occasione per esaltare le proprie ricchezze attraverso infinite portate e per pavoneggiarsi tra gli invitati sfoggiando le proprie conoscenze culinarie.
Moltissimi autori, da Catone ad Apicio, si sono dilettati a raccontare meticolosamente le diverse portate presenti sulle tavole dell’antica Roma e così si scopre che il pane più antico ed apprezzato era il Libum di cui nel “agri cultura liber” l’autore descrive accuratamente la ricetta "farai così il libum: sciogli bene in un mortaio due libbre di formaggio. Quando lo avrai reso del tutto liscio impasta bene...". Ma molti sono i piatti che si possono ricondurre all’epoca romana, dalle Lagane e tracta, le antenate delle squisite tagliatelle alla bolognese, citate nelle Satire di Orazio fino all’amata cassoeula dei milanesi nota allora con il nome di Pulmentarium ad ventrem mentre la famosa porchetta di Ariccia tanto cara ai laziali è in realtà una golosità già molto apprezzata dai loro antenati col nome di Porcellum elixum farsilem che gustavano anche il pregiato Oxyporium, meglio conosciuto come aceto balsamico.
“Quello tramandato dai grandi autori del passato - afferma il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo - testimonia che gli antichi romani insieme a cultura ed arte hanno innovato profondamente l’alimentazione lascandoci in eredità un patrimonio enogastronomico unico al mondo che seppur con qualche piccola variante acquisita nel corso dei secoli, resiste fino ai giorni nostri”.
“Quello tramandato dai grandi autori del passato - afferma il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo - testimonia che gli antichi romani insieme a cultura ed arte hanno innovato profondamente l’alimentazione lascandoci in eredità un patrimonio enogastronomico unico al mondo che seppur con qualche piccola variante acquisita nel corso dei secoli, resiste fino ai giorni nostri”.
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