Il Sangiovese toscano è un cult. Allora cerchiamone
autenticità e qualità dall'emissione a fluorescenza
Il Sangiovese si potrebbe definire il vino italiano per
eccellenza non solo per il fatto che la sua coltivazione ricopre circa l’11%
della superficie vitata nazionale, ma anche perché entra negli uvaggi di
numerosi vini, tra i quali anche alcuni dei più prestigiosi
Il vino è una delle bevande più importanti, più antiche e
più diffuse nel mondo e l’assicurazione della sua qualità richiede controlli
meticolosi e continui. Uno degli indicatori più utilizzati per classificare un
vino di qualità è la sua provenienza. L’origine geografica dei vitigni è molto
importante soprattutto per vini pregiati in cui la provenienza da particolari
regioni è da sempre garante di un prodotto di ottimo livello. La sensibilità
dei consumatori verso prodotti tipici di qualità si abbina ad una sempre
maggiore attenzione nei confronti degli effetti benefici che il vino ha sulla
salute [1].
Inoltre, il vino è, nel panorama dei prodotti agro-alimentari,
quello in cui l’Italia è da diversi anni il maggiore produttore a livello
mondiale [2]. Il vino è la prima voce dell’export agroalimentare italiano, con
un valore di circa 4,7 miliardi di euro [3].
Inoltre, nel patrimonio ampelografico, ovvero nell’insieme
di forme e cultivar di vite, l’Italia è uno dei paesi più ricchi di varietà di
vitigni autoctoni: quelli registrati ufficialmente sono circa 350 [4]. Tra
questi, il Sangiovese è presente nella maggioranza dei vini dell’Italia
centrale e si trova in quasi tutti i vini rossi di Toscana, Umbria e Marche.
Viene spesso vinificato in purezza, ed è utilizzato, in percentuali diverse,
insieme alle altre uve locali delle regioni così come alle uve internazionali
[4]. Il Sangiovese quindi si potrebbe definire il vino italiano per eccellenza
non solo per il fatto che la sua coltivazione ricopre circa l’11% della
superficie vitata nazionale, ma anche perché entra negli uvaggi di numerosi
vini italiani, tra i quali anche alcuni dei più prestigiosi [5].
E’ per questi motivi, che abbiamo scelto di iniziare le
nostre ricerche sui vini [6] a partire da vini di uve sangiovese, prodotti in
purezza al 100% in varie zone della Toscana. Utilizzando una tecnica non
standard, la spettroscopia di fluorescenza, abbiamo cercato di capire in primo
luogo se il rosso sangiovese ha caratteristiche uniche e riconoscibili,
rispetto ad altri vini rossi.
Ma quali informazioni contiene l’emissione di fluorescenza
del vino e perché questa tecnica può rappresentare una importante novità
rispetto alle tecniche analitiche convenzionali?
Come noto, la specificità di un vino è legata a sostanze
presenti in piccole quantità, ovvero ai composti minoritari, che rappresentano
in totale meno del 5% della composizione del vino. Sono proprio queste
sostanze, come gli acidi organici, i polifenoli, le vitamine, gli enzimi, le
sostanze minerali e azotate, a determinare nel vino l’aroma, la robustezza, il
colore, e tutte le qualità organolettiche.
Fig. 1- Spettro di emissione di un vino sangiovese (blu) con
lunghezza d’onda di eccitazione di 280 nm. In rosso è riportato lo spettro
simulato, mentre gli altri spettri (in colori diversi) sono i contributi
all’emissione dovuti alla presenza dei composti minoritari (tirosolo, acido
caffeico, acido vanillico, acido gallico e triptofano).
La tecnica da noi usata, ovvero la spettroscopia di
fluorescenza front-face, permette di ottenere sul vino tal quale, ovvero senza
trattamenti di alcun tipo, e in modo assai veloce, molte informazioni proprio
su questi composti minoritari. Inoltre, l’elevata sensibilità della
fluorescenza permette di percepire piccolissime variazioni di composizione tra
un campione e l’altro, rivelando eventuali sofisticazioni e alterazioni dovute
ad esempio, a ossigenazione del vino, aggiunta di solfiti, etc… [7].
In Figura 1 e in Figura 2, sono riportati due esempi di
spettri di emissione di fluorescenza, ottenuti su un vino sangiovese in
purezza, a due lunghezze d’onda di eccitazione: 280 e 330 nm, rispettivamente.
Come si può vedere, gli spettri di emissione (vino sangiovese “tal quale”) sono
caratterizzati da profili, detti anche “pattern”, molto diversi, dovuti alla
presenza di molti fluorofori, ovvero sostanze che emettono luce nella regione
dell’UV-visibile. Tenendo conto dei fluorofori presenti nel vino e dei loro spettri
sperimentali siamo stati in grado di ottenere degli spettri (simulazione) come
combinazione lineare dei singoli componenti [6].
Fig. 2- Spettro di emissione di un vino sangiovese (blu) con
lunghezza d’onda di eccitazione di 330 nm. In rosso è riportato lo spettro
simulato, mentre gli altri spettri (in colori diversi) sono i contributi
all’emissione dovuti alla presenza dei composti minoritari (acido 3,4 diidrossibenzoico,
acido caffeico, trans-resveratrolo e cloruro di malvina).
Ad esempio, nella regione tra i 280 e 300 nm, l’emissione è
dominata da alcuni acidi fenolici, dal tirosolo e dal triptofano (amminoacido).
Mentre, nella regione da 300 a 380 nm, contribuisco altri acidi fenolici, il
resveratrolo e le antocianine, che divengono dominanti spostandoci nella
regione del visibile, dove possono essere presenti anche i tannini e alcune
vitamine, come la riboflavina.
Per capire le potenzialità di questa tecnica basta osservare
come nel caso di due sangiovesi e un ciliegiolo prodotti in purezza in regioni
molto diverse della Toscana (Figura 3), gli spettri presentino profili quasi
identici nel caso dei due sangiovesi, e una sensibile differenza nel caso del
ciliegiolo. In questo caso le differenze nello spettro, rivelano una
composizione diversa soprattutto in termini di triptofano, acido gallico e
acido caffeico. Questi risultati sono molto promettenti per applicazioni tese a
valorizzare i prodotti ottenuti in purezza e con vitigni autoctoni, come in
Toscana.
Fig. 3– Spettri di eccitazione con lunghezza d’onda di
emissione di 360 nm ottenuti su due campioni di sangiovese e su un campione di
ciliegiolo (tutti prodotti in purezza) toscani.
Il prossimo sviluppo di questa ricerca consisterà nel
cercare di individuare tra i composti minoritari quelli che permettono di
distinguere vini sangiovese prodotti in condizioni paleoclimatiche diverse, in
analogia con quanto già noto per alcuni vini francesi e tedeschi [8]. Obiettivo
questo non semplice, vista la variabilità dei fattori che influenzano le
caratteristiche di un sangiovese: dall’annata al terroir, dalle tecniche di
vinificazione alle diverse varietà clonali.
Bibliografia
[1] S. Kallinthraka, I. Arvanitoyannis, P. Kefalas, A.
El-Zajouli, E. Soufleros e E. Psarra, «Instrumental and sensory analysis of
Greek wines; Implementation of principal component analysis (PCA) for
classification according to geographical origin,» Food Chemistry, vol. 73, pp.
501-514, 2001.
[2] «http://www.istat.it/,» [Online].
[3] «http://italian-flavor.com/,» [Online].
[4] «http://www.diwinetaste.com/,» [Online].
[5] A. A. a. c. d. F. Luigi, Il "Sangiovese": atti
del simposio internazionale - Firenze, Palazzo dei Congressi 15-17 febbraio
2000, Regione Toscana, 2001.
[6] C. Gerardi, Tesi di Laurea in Chimica, “Studio di vini
Sangiovese prodotti in Toscana mediante spettroscopia di fluorescenza
front-face e HPLC-DAD”, Università di Pisa: 2014.
[7] C. Gerardi, V. Domenici, L. Pucci, et al. Lavoro in
progress.
[8] E. Dufour, A. Letort, A. Laguet, A. Labecque e J. Serra,
«Investigation of variety, typicality and vintage of French and German wines
using front-face fluorescence spectroscopy.,» Analytica Chimica Acta, vol. 563,
pp. 292-299, 2006.
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