Il vino che parla del territorio
La nuova guida di Altreconomia è la prima dedicata al
"vino di relazione", biologico e artigianale, che rispetta l'ambiente
e racconta il lavoro dei piccoli vignaioli indipendenti. I protagonisti sono
stati scelti per l'alta qualità delle loro etichette, ma soprattutto per la
storia di ciascuno di questi "enodissidenti" con la passione per la
cultura contadina, la terra e la biodiversità
Nella botte piccola sta il vino buono. Non lo dice solo la
saggezza popolare, ma la nuova “Guida al vino critico” di Altreconomia
edizioni, che torna arricchita e rinnovata in una seconda edizione. Sono 500 i
piccoli e piccolissimi produttori della prima (e unica) guida al “vino di
relazione”, in stampa giusto per la vendemmia, a settembre, con numerose novità
e ben 250 indirizzi in più. Sono 150 le storie dei vignaioli, 350 le
segnalazioni, migliaia i vini, decine gli eventi di eno-dissidenza, con schede
puntuali, aggiornate che soldano come filari tutto il territorio italiano.
Sempre con la cura di Officina Enoica, l’associazione di enodissidenti e social
sommelier nata con l’obiettivo di sostenere i vignaioli artigiani e naturali,
la guida ha ancora un bouquet spiccatamente politico, in altri termini più
barricadero che barricato. Abbiamo scelto infatti produttori di piccole
dimensioni, che producono e trasformano solo uve proprie e le aziende agricole
che rispettano i diritti dei lavoratori e della terra stessa, tramandano i suoi
saperi e spesso lottano per difendere la biodiversità e il proprio territorio
dagli abusi dell’agricoltura industriale e dal cemento. Moltissime le aziende
che affiancano alla vigna un ristoro o un agriturismo, per chi volesse
percorrere un’itinerario seguendo un preciso filo rosso (o bianco).
La nostra carta dei vini parla chiaro: sono solo vini
naturali, biologici, biodinamici, senza chimica e altre manipolazioni, liberi
per davvero -se volessimo parafrasare qualche commerciante- e indipendenti
dalle mode e dalle “tendenze”; vini artigianali, perché il vignaiolo ci mette
le mani; vini che non esprimono “una fragranza di frutta gialla estiva matura”
ma il territorio, il lavoro, le storie conviviali e gli incontri, a volte un
punto di vista “sovversivo”, perché non omologato, non commerciale. Una guida
che entra nel merito per contribuire con
pareri autorevoli -ad esempio- all’animato dibattito tra fautori del
“biologico” e del vino naturale.
Alessandro Dettori, ottimo produttore sardo -potete leggere
il suo blog su alessandrodettori.net-, spiega lo spirito che contraddistingue
un vignaiolo indipendente: “Come alcuni di voi sapranno, non mi è mai piaciuto
presentare il nostro lavoro come ‘biologico’ o ‘biodinamico’. Se sollecitato
non posso che rispondere con verità e cioè che la nostra azienda agricola
possiede la certificazione biologica e biodinamica, ma solo su specifica e
insistente richiesta. Preferisco sempre parlare di agricoltura, di quel che
facciamo, di terroir, di artigianalità. Se parlo di biologico e biodinamico mi
riferisco sempre al metodo agricolo e non all’aggettivo qualificativo del vino.
Un vino è vino, un vino buono è un vino buono, qualunque sia la tecnica con il
quale sia stato prodotto. Solo successivamente deciderò se acquistare o meno un
vino buono basandomi sulle regole morali ed etiche che mi sono dato”. Ma le
parole di molti altri vignaioli sono macigni -o forse zolle- in difesa del vino
artigiano e dell’agricoltura contadina. Con la prefazione di Dan Lerner,
esperto di vini sostenibili e un testo di Livia Grossi, giornalista del
Corriere della Sera.
“Guida al vino critico. Vini naturali, artigianali,
conviviali in Italia”, a cura di Officina Enoica, 216 pagine, 14,00 euro
(Altreconomia edizioni).
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