Jephte è l'oratorio a sei voci, strumenti e basso continuo dell'illustre compositore Giacomo Carissimi. Di eccezionale impatto visivo è l'episodio del Lamento, il Plorate filii Israel, senza dubbio la parte più sublime ed ammirata dell'intero brano.
Giacomo Carissimi, musicista fra i maggiori esponenti della scuola romana, riveste fondamentale importanza nel panorama musicale europeo. Le sue linee melodiche hanno tracciato nuovi orizzonti, conferito al canto movimento, varietà e grazia, creando un “unicum” tra musica e azione drammatica; l’oratorio “Jephte” è uno dei grandi capolavori di questo genere e il Plorate filii Israel del coro conclusivo è senza dubbio il brano più ammirato, tanto che Haendel ne rimase così impressionato da prenderne a prestito parecchi elementi per il coro del proprio Samson.
La bellezza del Lamento, anch'esso suddiviso in sezioni, risiede molto nell'aspetto fonetico. La linea melodica é relativamente secondaria. Sono le insistite dissonanze di cui è irto l’accenno di fugato sulle parole “in carmine doloris”, il clima emotivo, lo sfasamento delle voci, le ripetizioni, i passaggi di una parola da una voce all'altra, i passaggi dinamici del piano al forte e viceversa, la tensione continua sulle singole note a caratterizzare di fatto il Plorate filii Israel, fino alla calma e lenta cadenza finale. Tanto le dissonanze quanto il lavorìo polifonico che anima le sezioni successive appaiono tuttavia l’emblema di un’angoscia per la quale, in termini solamente umani, non è possibile né razionale spiegazione né durevole conforto.
Carissimi, che fu maestro della cappella alla Basilica di Sant’Apollinare a Roma dal 1630 alla sua morte, è determinante nella definizione e nell’evoluzione della forma musicale dell’oratorio in lingua latina, ovvero la partitura musicata di un testo sacro (non liturgico). Della sua vastissima produzione musicale fanno parte, oltre agli oratori, mottetti sacri, messe, cantate profane e da chiesa, e molte composizioni per organo. Carissimi è uno dei maestri che più ha contribuito a perfezionare le forme della cantata; è tra i primi a rendere più leggero il basso continuo, dandogli movimento e varietà di forme. La sua musica, ricca di madrigalismi, talvolta ricorda lo stile concitato di Monteverdi. La strumentazione di solito è essenziale: organo, o cembalo e tiorba, strumento musicale a corde pizzicate, della famiglia dei liuti (detto anche chitarrone), con eventuale rinforzo di violone o viola da gamba, per l’esecuzione del basso continuo; per la parte concertante intervengono fiati e archi.
Jephte sembra sia stato composto intorno al 1649, o poco prima. Secondo la prassi a quel tempo usuale, l’autore ricavò il testo dell’“Historia di Jephte”, che si suppone essere stato composto intorno al 1649, tagliando e interpolando liberamente la Vulgata e, come in tutti i suoi oratori latini, la struttura appare progettata a campata unica delineata in tre tableaux (la battaglia – le celebrazioni per la vittoria – i lamenti). A ciascuna di queste corrisponde un diverso carattere musicale, secondo una retorica largamente condivisa all’epoca: i cambi di tonalità da maggiore a minore e viceversa, l’uso di pause in funzione espressiva, il prolungarsi al canto di note dissonanti con il basso continuo, l’uso di intervalli aspri, per lo più diminuiti, e tritoni.
È un’opera profondamente unitaria in cui la recitazione gioca un ruolo decisivo; ed è proprio questa profonda compenetrazione tra musica e azione drammatica a renderlo un capolavoro.
In rete non sono molte le esecuzioni del Plorate filii Israel dell'Historia de Jephte, tra queste le più ammirevoli sono quelle del The University Baroque Ensemble and The Collegiate Choir, degli English Baroque Soloists, dei Cantus Cölln e del Coro Città di Roma, sotto la direzione del maestro Mauro Marchetti nell'ambito della Sagra Musicale Umbra del 2005.
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