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Storia dell'Arte Veneta. Mistero Giorgione, la Tempesta: un enigmatico omaggio alla natura di un pittore mito del nostro Rinascimento

La Tempesta è uno dei dipinti più misteriosi dell’arte, tanto che gli storici, nel corso del tempo, hanno sviluppato almeno 30 interpretazioni differenti, ma ancora oggi è oggetto di analisi.

Giorgione, La tempesta, 1505 ca



"Giorgione" un soprannome legato molto probabilmente alla sua alta statura fisica. Dal carattere sfuggente, inafferrabile e misterioso, il maestro di Castelfranco così viene descritto nel Fuoco di Gabriele D'Annunzio: “Egli appare piuttosto come un mito che come un uomo. Nessun destino di poeta è comparabile al suo, in terra. Tutto, o quasi di lui s’ignora, e taluno giunge a negare la sua esistenza. Il suo nome non è scritto in alcuna opera; e taluno non gli riconosce alcuna opera certa . . .”

Poco si sa della vita di Giorgione, primo grande pittore veneto del Cinquecento. Ma aldilà del velo di mistero che contraddistingue le sue opere e la sua figura, Giorgione non è né un mito, né una figura da leggenda.

Egli fu comunque un personaggio autentico, vissuto tra la fine del secolo XV e il primo decennio di quello successivo. Partecipe di quel particolare momento storico, anzi uno dei protagonisti del rinnovamento della civiltà veneta in senso umanistico e rinascimentale, sta alla pittura veneta come Raffaello o Michelangelo a quella dell'Italia centrale: affrontò cioè il problema dell'arte attraverso la ricerca di una verità interiore del tutto soggettiva, pur nella consapevolezza che l'individuo è elemento di un tutto, al quale rimane legato indissolubilmente. Uomo, natura, universo: ecco la tematica giorgionesca.

II dipinto noto col titolo La tempesta, realizzato entro il 1505 da Giorgione, è conservato a Venezia, alla Galleria dell'Accademia è uno dei rari dipinti che la critica ha sempre e unanimemente accolto come autografo. Assai discordi invece le opinioni sull'iconografia e sulla datazione. E' stato dipinto direttamente con il colore, senza disegno preparatorio, ed è uno dei quadri più celebri del nostro Rinascimento.

Una prova del procedimento pittorico adottato dal Giorgione, si è rivelata soprattutto ad un'esame ai raggi x, che ha evidenziato alcuni "ripensamenti" in corso d'opera, e in particolare, la sostituzione di una precedente figura femminile nuda in basso a destra, con quella definitiva del giovane in abiti rinascimentali.

La prima notizia che abbiamo del dipinto risale al 1530: esso è attestato da Marcantonio Michiel nella casa del nobile Gabriele Vendramin (che possedeva di Giorgione anche il Ritratto di vecchia e forse Le tre età dell'uomo) ed è definito "paesetto in tela cum la tempesta, cum la cingana ("zingara") et soldato".

Il soggetto, quasi incomprensibile, ha stimolato le più diverse interpretazioni. Protagonista è il paesaggio aperto su una natura magica e misteriosa in cui si manifestano poeticamente la sua forza e i suoi fenomeni. Nella scena le figure umane si inseriscono come elementi secondari e accidentali.

Tutta l'immagine si concentra nell'attimo dello scoppio del fulmine, che trascolora e trasforma ogni elemento visibile. Ogni cosa assume un colore e un aspetto strano, irreale: l'acqua si oscura al passaggio dei nuvoloni densi di pioggia, gli edifici della città sullo sfondo s'illuminano nel bagliore improvviso e i muri emanano particolari riflessi.

Le chiome degli alberi più lontani brillano come se la pioggia fosse già arrivata, bagnando le foglie.
In primo piano, alberi, foglie, persino i sassi, perdono la loro consistenza, avvolti dalle ombre che s'insinuano per via del cielo improvvisamente oscurato. In quell'attimo tutto si trasforma in un'immagine di grande suggestione.

Bene ebbe a dire fin dal 1913 L. Venturi: "Il soggetto è la natura: uomo, donna e bambino sono soltanto elementi - non i principali - della natura". La quale è qui esaltata nelle sue forze primordiali, nei fenomeni più profondi e misteriosi. Il cielo tempestoso, solcato dall'improvviso balenio della folgore; la purissima figura della donna che stringe a sé la propria creatura; il giovane in piedi, a sinistra; e il ruscello, le rovine, che alludono al tempo che trascorre e alle glorie che crollano; il fondo con le mura e gli alberi: tutto fa parte di un'unità che allude alla vita nel suo perpetuo divenire.

Tale esaltazione delle forze naturali è resa con una pittura veramente sinfonica, dove la luce avvolge ogni elemento in un'atmosfera dorata e tremolante per la continua partecipazione a ogni vicenda figurale, dalle carni al cielo, dalle architetture alle fronde dolcemente mosse sotto l'incombere della burrasca estiva; dove ogni cosa sembra perdere la propria plastica consistenza e divenire pura espressione d'arte.

La tempesta appartiene al genere dei cosiddetti "paesetti con figure", opere di destinazione privata molto apprezzate dalla colta committenza veneziana. Si tratta di dipinti di piccolo formato, nei quali i temi, profani o sacri, sono solo un pretesto per ampie raffigurazioni paesaggistiche, interpretate in modo lirico e malinconico, grazie alle pennellate vibranti della pittura tonale.

In queste tele si fondono gli interessi eruditi, filosofici, letterari e archeologici dei collezionisti, che determinavano la scelta dei soggetti. Ma dietro alla rappresentazione si nascondevano spesso significati allegorici o allusioni a vicende private o specifiche legate agli stessi committenti.

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