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Zurbarán a Roma. Il San Francesco del Saint Louis Art Museum tra Caravaggio e Velázquez



Il San Francesco contempla un teschio del maestro spagnolo Francisco de Zurbarán (1598-1664), uno dei più grandi rappresentanti, insieme a Diego Velázquez e Bartolomé Esteban Murillo, della pittura spagnola del cosiddetto “Siglo de Oro”, è in mostra nella Sala Santa Petronilla dei Musei Capitolini tra le tele di Caravaggio e Velázquez.

L'opera, per la prima volta a Roma grazie al prestito del Saint Louis Art Museum, rappresenta un’occasione speciale per conoscere da vicino uno tra i più straordinari dipinti del formalismo mistico del grande artista spagnolo e per scoprire il suo peculiare linguaggio pittorico, che fu compreso appieno dai pittori francesi dell’Ottocento e riconosciuto dalla critica solo a partire dagli anni Venti del Novecento.

Il San Francesco faceva parte di una pala d’altare (retablo) conservata nella chiesa carmelitana del collegio di Sant’Alberto a Siviglia, e nonostante le dimensioni abbastanza ridotte, costituisce una delle raffigurazioni più interessanti del Santo d’Assisi. Dipinto più volte nel corso degli anni da Zurbaràn, San Francesco è raffigurato stante, con saio dei frati cappuccini, mentre contempla un teschio che tiene tra le mani. L’aspetto severo e imponente della composizione è accentuato dal rigore geometrico, dalla verticalità del cappuccio e delle pieghe della veste che cade dritta fino a terra lasciando scoperte soltanto le punte delle dita dei piedi scalzi. La figura appare immersa in una dimensione mistica che trascende la percezione di chi lo guarda e ne fa immagine di intensa spiritualità. Il dialogo silenzioso tra il santo e il cranio allude alla precarietà dell’esistenza umana, un tema molto ricorrente nell’arte barocca spagnola e in quella della Controriforma in generale.

La scelta di allestire l’opera nella Sala Santa Petronilla la pone idealmente in dialogo sia con le due tele di Caravaggio - la Buona Ventura e il San Giovanni Battista -, sia con il Ritratto di Juan de Córdoba di Diego Velázquez: quattro capolavori molto vicini nel tempo, il cui felice accostamento offre una riflessione sull’arte di tre protagonisti della pittura seicentesca, e soprattutto, sul ruolo importante del “Caravaggio di Spagna”, soprannome riferito a Zurbaràn dal biografo spagnolo Antonio Palomino nelle sue Vite degli artisti del 1724.

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