Ceppo di lievito autoctono...serve una definizione
La parola "autoctono" è da tempo usato nel
vocabolario enologico: se ne parla in occasione di selezioni regionali,
zonali o aziendali, si evoca quando ci si riferisce a fermentazioni
spontanee, si utilizza anche in alcune promozioni commerciali. Proprio
in ragione del suo largo uso, la definizione si può prestare a diverse
interpretazioni e ad un uso improprio
“Un ceppo vinario autoctono (lievito o batterio lattico) è un ceppo selvaggio (non commerciale) isolato in una cantina specifica (nicchia ecologica), nella quale è dominante, persistente nell’arco di una vendemmia, e ricorrente per più annate. Tale ceppo, utilizzato nella stessa cantina di isolamento è in grado di conferire al vino caratteristiche peculiari rispondenti alla tipologia del prodotto programmato”
In questa definizione, quindi, vengono considerate sia implicazioni di ordine ecologico che tecnologico.
1) Un punto importante e che rappresenta un fattore di forte confusione nell’uso del termine autoctono, è la definizione della nicchia ecologica.
Considerato che la nicchia ecologica è l’ambiente in cui avviene la selezione del ceppo autoctono e che tale termine si riferisce a ceppi fermentativi, non si può considerare come nicchia ecologica il terreno, la vigna, l’acino d’uva o il mosto appena giunto in cantina.
Tutti questi elementi possono essere definiti come un serbatoio di biodiversità.
La selezione avviene, invece, nella cantina, intendendo con essa l’ambiente in cui avviene la trasformazione del mosto secondo un determinato protocollo biotecnologico.
2) Altri elementi essenziali nella definizione di autoctono sono i concetti di dominanza, persistenza e ricorrenza.
Infatti un ceppo autoctono, perché possa effettivamente influenzare le caratteristiche di un vino, deve essere in grado di guidare, anche in associazione, la fermentazione.
Dato che la cantina ove avviene la trasformazione del mosto in vino è la nicchia ecologica ove si attua la selezione, questa deve procedere favorendo il ceppo più adatto allo stile o alla tecnologia impiegata; il ceppo più adatto è verosimilmente destinato a diventare quello numericamente più rappresentato, tanto da divenire dominante e, se non avvengono cambiamenti drastici nello stile o nella tecnologia, anche persistente durante diverse fasi della fermentazione in uno stesso tino o in processi fermentativi in tini diversi.
Infine il termine ricorrente si riferisce alla possibilità di isolare il ceppo autoctono individuato nel corso di annate diverse (consecutive ma non solo).
3) Ovviamente durante la fermentazione possono essere presenti diversi ceppi di lievito, che possono essere dominanti e persistenti a seconda della fase della fermentazione che si considera (inizio, metà, fine).
Per questo motivo è importante definire con precisione il momento in cui effettuare le analisi microbiologiche sul mosto.
Considerata la necessità di legare il termine autoctono alle caratteristiche del prodotto finito, questa selezione andrà fatta da metà fermentazione in poi se si considerano i lieviti del genere Saccharomyces e in altri momenti della fermentazione o della vinificazione in genere se si considerano i lieviti non-Saccharomyces e i batteri lattici.
4) Ultimo elemento considerato è relativo alla influenza del ceppo autoctono sulle caratteristiche di qualità del vino.
E’ possibile, infatti, legare il termine autoctono alle caratteristiche del prodotto finito e non al territorio di produzione.
Ne deriva che l’equazione ceppo = territorio è impossibile da dimostrare.
È inoltre difficile dimostrare che il miglior ceppo per la fermentazione di uno specifico mosto debba necessariamente essere un ceppo isolato da quello stesso mosto.
Infatti è possibile, ed altamente probabile, che i caratteri in grado di valorizzare una produzione possano appartenere anche ad un ceppo alloctono.
Contributo del Prof. Giovanni Antonio Farris, Università di Sassari
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